NOTIZIE CHE FANNO NOTIZIA

LUTTO NELLA CULTURA

Vinse il Nobel
con la grazia e l'ironia

Wislawa Szymborska usava il verso libero e sapeva cogliere nelle piccole cose il miracolo dell'esistenza. La grande scrittrice polacca aveva vinto il celebre premio nel 1996
di FRANCO MARCOALDI


Il premio Nobel per la letteratura Wislawa Szymborska - nata nel 1923 a Kornik (Polonia) e morta ieri a Cracovia all'età di 88 anni - aveva pensato per tempo al suo epitaffio, scritto naturalmente in versi: "Qui giace come virgola antiquata/l'autrice di qualche poesia. La terra l'ha degnata/dell'eterno riposo, sebbene la defunta/dai gruppi letterari stesse ben distante./E anche sulla tomba di meglio non c'è niente/di queste poche rime, d'un gufo e la bardana./Estrai dalla borsa il tuo personal, passante,/e sulla sorte di Szymborska medita un istante".

La poesia Epitaffio compare nella raccolta Sale, che è del lontano 1962. Ma i tratti più tipici della sua poetica ci sono già tutti: grande sense of humour, diffidenza verso l'appartenenza a scuole e gruppi letterari, frequente ricorso a tonalità basse, in sordina. Il tutto al servizio di una scrittura che sarà sempre tesa a risvegliarci dal torpore in cui cadiamo di continuo, mentre basterebbe tenere gli occhi aperti per cogliere i mille miracoli dell'esistenza: una nube che passa, un cane che chiede una carezza, l'incontro con un vecchio professore.
 Quanto a lei, Wislawa, riusciva a compiere il proprio miracolo grazie all'improvvisa accelerazione di immagini e domande che affollano ogni sua lirica, sì che nello spazio di pochi versi un evento qualsiasi spalanca al nostro sguardo le cose prime e ultime della vita. Affrontate sempre con semplicità, nitore e una paradossale congiunzione di "incanto e disperazione".



Ecco spiegata così la grande popolarità della signora di Cracovia, il fatto che le sue letture in giro per il mondo fossero affollate, lo hanno detto in tanti, come 'i concerti delle rockstar'. Ed ecco spiegato perché le edizioni dei suoi versi si siano moltiplicate anno dopo anno. Anche qui da noi, in Italia, per merito del suo massimo esegeta e traduttore, Pietro Marchesani (anche lui, ahimé, recentemente scomparso) che le ha curate tanto per Adelphi quanto per Scheiwiller.

Né meno originale è la sua opera in prosa: cinque volumi di Letture facolative, recensioni sui generis attorno a libri sui generis (di giardinaggio, memorialistica, economia domestica); oltre a un libro di Posta letteraria, titolo della rubrica in cui per lunghe stagioni ha distribuito spassosi e puntualissimi consigli a poeti e scrittori in erba. Spesso e volentieri invitati a soprassedere su una malposta vocazione letteraria. E a dedicarsi piuttosto a un'altra attività non meno gratificante: la lettura.

Ancora, di Szymborska si sapeva che venerava il riserbo, che giocava con le parole (era abilissima nei non sense e nei limerick), che adorava il collezionismo e gli animali. Infine amava Mark Twain, Fellini, Thomas Mann e Vermeer, al quale aveva dedicato nell'ultima raccolta una piccola, straordinaria poesia dalla quale traspariva il medesimo senso di sospeso raccoglimento, di quieto e abbacinante silenzio, intriso di quotidiana metafisica.
 Col passare del tempo, il tratto congetturale e ipotetico dei suoi versi si era andato accentuando, mentre tornavano e ritornavano quelle due parolette "non so", attorno a cui già ruotava l'indimenticabile discorso di investitura al Nobel. Più si procede nella vita, sosteneva la signora di Cracovia, più crescono le domande e si offuscano le risposte: realtà e sogno si intrecciano in modo inestricabile, mentre il tempo si dilata e si rapprende a suo piacimento. I titoli delle ultime raccolte, in tal senso, non sono casuali: Attimo, Due punti, Qui. Titoli sempre più brevi, sempre più semplici, sempre più icastici, legati tra loro giust'appunto dal problema del tempo; nella duplice ossessione dell'eterno ritorno e dell'intrinseca caducità di un'esperienza unica e irredimibile: "Non c'è giorno che ritorni, non due notti uguali uguali/, né due baci somiglianti/, né due sguardi tali e quali".

L'uomo è 'un essere temporale', che legge la sua vita e quella del mondo attraverso la successione dei momenti, ma proprio perciò è impossibilitato a sprofondare nel momento, a vivere interamente ogni singolo istante, stretto com'è tra il ricordo del passato e l'attesa del futuro: "Perché tu, malvagia ora/dai paura e incertezza?/ Ci sei  -  perciò devi passare/. Passerai - e qui sta la bellezza".

Ecco, credo che il grande amore di Szymborska per gli animali nascesse proprio da qui. Da un sentimento di ammirazione, anzi di invidia, verso quelle creature che non vivono, come noi, attraverso il momento, ma nel momento. E solo in quello. E perciò non conoscono ambivalenza, calcolo, trucchi, trappole. E hanno di conseguenza "la coscienza pulita".

A ben pensarci i poeti sono  -  tra gli umani  -  coloro che più si avvicinano agli animali. Non perché abbiano la coscienza pulita. Ma perché regolano i loro atti e la loro scrittura sulla base di una forma di intelligenza sensibile, piuttosto che analitica e razionale, e perché il loro cruccio è proprio quello di inseguire l'attimo fuggevole, il qui e ora dello stato presente, l'apertura impregiudicata legata al segno dei due punti.
 Far propria questa postura significa privilegiare l'atto gratuito rispetto a ogni strategia utilitaristica, l'incessante metamorfosi alla fissa identità, l'incertezza a ogni tentativo di rigida (quanto vacua) tassonomia del reale, la singolarità dell'esperienza rispetto alla logica dei grandi numeri. Significa, almeno nel caso della signora di Cracovia, abbandonarsi a un modo di vedere le cose che induce "a immaginare l'inimmaginabile".

E difatti le strade intraprese nelle sue liriche sono immancabilmente sghembe, labirintiche, imprevedibili. Così Wislawa si stupisce di essere "in una casa e non nel nido", di essere ricoperta "di pelle e non di squame". Se deve raccontare la morte del proprio compagno, lo farà assumendo il punto di vista del gatto di casa. Volendo descrivere una cipolla, vestirà i panni di quel bulbo precipitando fino alla "cipollità". E altrettanto farà per descrivere le virtù di un farmaco tranquillante: "So come trattare l'infelicità/come sopportare una cattiva notizia/ridurre l'ingiustizia/, rischiarare l'assenza di Dio/scegliere un bel cappellino da lutto/. Che cosa aspetti -/ fidati della pietà chimica!".

Il costante 'senso di stupore' (che ci fa sentire vivi) e 'l'inclinazione a confrontarè (la caratteristica migliore dell'essere umano) si possono applicare  -  ci ha insegnato la grandissima polacca - anche a questioni apparentemente marginali. Perché qualunque argomento, dal più ordinario al più tragico, può essere condensato in una successione di versi. L'importante è come lo si fa, e nel come la Nostra era un'inarrivabile maestra: scetticismo, sobrietà e precisione si fondevano in una lingua colloquiale capace però di rovesciare costantemente i luoghi comuni. Un gusto sopraffino per il gioco linguistico, un sorvegliatissimo controllo delle metafore, l'innata predisposizione al ritmo e un'ironia compassionevole che teneva costantemente a bada il rischio del pathos, facevano il resto. Sicché tutta la sua poesia, da ultimo, può essere letta sotto il marchio della "naturalezza".
 Quanto lavoro però, per raggiungere quel mirabile distillato di immagini e pensieri in forma poetica. Per questo Szymborska avrebbe potuto far sue le parole dell'amato Thomas Mann, tanto più vere nei nostri magri giorni: "Gli unici a fare fatica nello scrivere i libri sono gli scrittori". 

(02 febbraio 2012) Nella mente dei Poeti vola l’Universo. E l’Universo è parola.

Nella mente dei Pittori vola l’Universo. E l’Universo è tratto e colore

Nella mente dei Danzatori vola l’Universo. E l’Universo è movimento.

Nella mente dei Musicisti vola l’Universo. E l’Universo è suono e ritmo.

Nella mente di Alda Merini è volato e vola l’Universo. Ed è stato ed è non solo parola, ma anche suono e ritmo.

Il suo intimo rapporto con i versi e il suo trasfondere su carta il moto perpetuo del suo animo in contatto con ancestrali moti dell’Anima è noto ai più. Un po’ meno conosciuto è, in realtà, il suo amore per la musica non solo come ascoltatrice, ma come esecutrice.


Alda Merini studiò pianoforte per alcuni anni. Sognava di diventare pianista. Sentiva la musica venirle fuori da dentro.
Adorava i cori di chiesa e vi cantava, attratta così tanto anche dal divino.
Ascoltava la musica classica e come si trovava davanti una tastiera posava le sue dita con unghie smaltate sui tasti per sentire il suono che tanto l’affascinava.
Nelle sue poesie parla spesso di violini. Ad esempio: Vorrei poter suonare quei violini/ che solo a notte adeguano le stelle/ e dirti e dirti che così vicini/ possiamo amare tante cose belle […] (Destinati a morire) e In cima ad un violino/ ci sta forse un respiro/ che nessuno raccoglie/ perché è un senso d’amore./ Tu suoni per il vento e viaggi/ dove la pace sussurra tra le piante/ tutta una nostalgia. (Clinica dell’abbandono)

Il violino è strumento altamente evocativo. Colpisce, con lo sfregamento dell’archetto e i suoi pizzicati, le corde dello spirito, esalta la passione, incarna l’amore senza fine, è il prolungamento della mano dell’artista che con l’esecuzione arriva a trasfondere emozioni e sentimenti solo con la purezza universale del suono.

Alda Merini amò molto, dunque, la musica. Tanto da esaltarla nelle sue liriche. Tanto da eseguire in pubblico Johnny guitar, come testimonia il dvd “Milva canta Merini” su musiche di Giovanni Nuti. Tanto da salire sul palco per la prima volta proprio con il musicista Nuti e salirvi ad ogni suo concerto per recitar poesie. Tanto da far musicare i suoi testi proprio da Nuti. Tanto da stringere con lui un rapporto umano e artistico senza eguali dove, nei loro assidui incontri a casa della Poetessa, la Merini e Nuti passavano pomeriggi interi a cantare e suonare con in mente solo l’Arte.

Alda Merini aveva un pianoforte, uno splendido pianoforte scordato che risuonava spesso nelle sue stanze. Ora è conservato nella casa-museo in Via Magolfa a Milano. È un pezzo importante di Lei e della Sua anima.

E i Suoi violini e le Sue liriche risuoneranno di nuovo in veste swing nel disco di Giovanni Nuti, che sta per uscire, dal titolo “Vivere senza malinconia” un’antologia di brani degli anni ’30 e ’40 in cui in omaggio alla nostra grande Musa sono stati inseriti Amore irripetibile (sull’ultima corda del tuo violino/ avevo già appeso il mio amore/ pieno di robe vecchie) e Il violinista piange.

Il genio meriniano era poliedrico e a tutto tondo: Alda Merini è stata ed è artista completa e raffinata e ineguagliabile artefice di magie.





UNA STELE PER LA NONVIOLENZA
Mahatma Gandhi «La nonviolenza è la più grande forza a disposizione del genere umano. È più potente della più potente arma di distruzione che il genere umano possa concepire». Questo pensiero del Mahatma Gandhi riassumeva la lampante essenzialità e la forza della sua filosofia di pace, di tolleranza e rispetto reciproco, appunto della nonviolenza che, purtroppo, si afferma con sempre più fatica. Anche in una città come Roma, che in questi tre anni di amministrazione Alemanno ha addirittura ‘cancellato’ la sua partecipazione istituzionale alla Marcia internazionale della Pace Perugia-Assisi. Riportare questi valori al centro del nostro agire e diffonderne la portata credo sia un nostro dovere di cittadini e un compito che la politica deve tornare ad assumersi. Per questo, alla vigilia della Giornata internazionale della nonviolenza che si celebra in tutto il mondo il 2 ottobre – data della nascita del Mahatma Ghandi -, vogliamo lanciare un segnale affinché Roma ritrovi la strada della solidarietà e dell’inclusione.
Così mercoledì 28 settembre alle ore 12 in Piazza Damiano Sauli (Garbatella), nell’ambito della manifestazione “Garbatella cuore della nonviolenza”, inaugureremo una stele celebrativa della giornata e dei valori della nonviolenza. Un pannello, fortemente voluto dall’associazione “Mondo senza Guerre e senza Violenza” e finanziato dalla Presidenza della Provincia di Roma, che vuole essere un riferimento ed un incoraggiamento a quel percorso di rafforzamento di una coscienza nonviolenta nella nostra città, soprattutto tra i giovani.
Insieme a tanti amici e rappresentanti istituzionali, ho voluto fortemente contribuire alla valorizzazione di questa giornata a Roma e mercoledì sarò a Garbatella con il presidente del Municipio Roma XI Andrea Catarci, Cristiano Chiesa-Bini di “Mondo senza Guerre e senza Violenza”, l’assessore provinciale Claudio Cecchini, l’ambasciatore dell’India e l’assessore del Municipio XI Carla Di Veroli. Un gesto simbolico denso di significato, un altro passo verso un’altra idea di città.



Arciragazzi, "La libertà è partecipazione"
Lo dicono i giovani dai blog e su Facebook

Lo studio, al quale hanno risposto 2.070 ragazzi, si è avvalso degli strumenti ormai tipici attraverso i quali le nuove generazioni si esprimono e comunicano. I questionari sono stati 1.410: l'83,5% sono studenti o studenti-lavoratori, età media 21 anni. Uno su 4 fa parte di associazioni culturali, il 18% di organizzazioni di volontariato e il 14% sono scout. Due su dieci non hanno mai fatto parte di alcuna associazione

di VLADIMIRO POLCHI
ROMA  - Partecipare fa bene. I ragazzi italiani che fanno parte di una qualche associazione e organizzazione di volontariato o partecipano attivamente alle iniziative scolastiche hanno più fiducia nel futuro e nel cambiamento, sono meno dipendenti dai modelli imposti dalla tv, leggono in media 7 libri l'anno, rifuggono dall'astensionismo. Insomma, come cantava Giorgio Gaber, "la libertà è partecipazione". È quanto emerge da un'ampia indagine realizzata da Arciragazzi 1 e dal centro di ricerca Cevas 2.

I giovani e le associazioni. Lo studio, al quale hanno risposto 2.070 giovani, si è avvalso di blog, siti internet, gruppi facebook che hanno collaborato alle rilevazioni nel periodo febbraio-marzo 2011. I questionari ritenuti validi sono stati alla fine 1.410, compilati da ragazzi provenienti da tutte le regioni italiane: l'83,5% è studente o studente-lavoratore, l'età media è 21 anni. Un giovane su quattro fa parte di associazioni ricreative o culturali, il 18% di organizzazioni di volontariato e il 14% è uno scout. Quasi due giovani su dieci nel corso della propria vita non hanno invece mai fatto parte di alcuna associazione.

Fiducia nel cambiamento. Vediamo i principali risultati della ricerca. Tra coloro che non hanno avuto alcuna esperienza di associazionismo il 59,4% ha un basso livello di "speranza verso il futuro e nella possibilità di
cambiamento", la situazione si inverte tra chi ha sperimentato oltre tre appartenenze al mondo associativo: in questo caso infatti solo il 35,4% risulta avere punteggi bassi. Tradotto: partecipare rende più ottimisti e attivi nell'orientare le proprie scelte di vita.

Contro le raccomandazioni. Stando all'indagine, tra i ragazzi italiani esiste una relazione negativa tra la propensione ad accettare raccomandazioni o favoritismi (rinunciando a impegnarsi) e il numero di esperienze di associazionismo dichiarate. La meritocrazia e il senso civico  -  che inducono ad applicarsi negli studi senza cercare scorciatoie facili (come per esempio scegliere una scuola dove si studia di meno)  -  crescono al crescere dell'esperienza in contesti associativi. Chi fa parte di una qualche organizzazione tende infatti a rifiutare le raccomandazioni come stile di comportamento normale. Scrivono i ricercatori: "La partecipazione si traduce in investimento materiale ed emotivo su obiettivi trasformativi della realtà e risulta essere connessa alla speranza verso il futuro".

Liberi dai condizionamenti televisivi. Stando all'indagine, "l'adesione ai modelli valoriali proposti dai media e dalla tv, orientati alla ricerca esasperata di popolarità tramite una esternalizzazione della vita privata e l'adesione all'immagine ragazza-velina tende a diminuire in coloro che sperimentano più esperienze di associazionismo".

Tutti al voto. Il livello di impegno politico cresce con la partecipazione in associazioni. L'astensionismo in tal caso è pari solo al 7,8%. I giovani dentro le organizzazioni sono meno propensi ad aderire a modelli di tipo autoritario e a derive populistiche: "Tendono a sviluppare modelli di relazione con il leader e l'autorità che li governa improntati alla responsabilizzazione dei singoli cittadini e a sviluppare maggiori capacità di resistere a meccanismi di consenso ottenuti tramite strategie di manipolazione mediatica". E ancora: la metà di questi ragazzi si riconosce nelle posizioni politiche della sinistra, il 34% non si colloca né a destra né a sinistra, il 13% si riconosce solo nelle posizioni della destra.

L'autoefficacia
. L'autoefficacia indica "la convinzione riguardo alle proprie capacità di eseguire azioni necessarie al raggiungimento dei propri scopi". Per capire meglio, l'Organizzazione Mondiale della Sanità considera l'autoefficacia di centrale importanza nei programmi di prevenzione dell'abuso di sostanze stupefacenti. Ebbene, al crescere del numero delle associazioni di cui il giovane ha fatto parte cresce la media riportata al test sull'autoefficacia, che passa da 27,59 nel gruppo di giovani che non hanno mai fatto parte di alcuna associazione a 30,15 in coloro che hanno fatto parte di oltre tre associazioni.

Giorgio Gaber. Scrive un ragazzo in una delle sue risposte conclusive alla ricerca: "Gaber cantava, bene, che 'la libertà è partecipazione'. Bene perché la partecipazione è il diritto che ci consente di non essere decisi esclusivamente dagli altri, ma anche di deciderci, attraverso il confronto, da noi stessi...".